Ancor prima ne avessimo contezza, la matematica comunque scandiva la nostra esistenza che è a termine, ingabbiati in una condizione precaria, caduca, afflittiva, schiavi dell’unica certezza che abbiamo e che risiede nei rintocchi inesorabili che ritmano il tempo, quello nostro, quello sì misurabile e, una volta finito, misurato.
Le Parche, le tre Moire filano, tessono e recidono il filo. E dopo?
La matematica non basta al pensiero peregrinante lungo la spiritualità perché si esprime nella misura dell’esistente.
Ha sue leggi, leggi del nostro esistere che non spiegano il perché del nostro esistere né disvelano l’Essere, men che meno l’Essenza.
Ci sono alfabeti, penso a quello ebraico, in cui ad ogni lettera corrisponde un valore numerico e accade così che non risultano casuali i valori matematici connessi al significato delle parole. Appare che tutto abbia un ordine anche di tipo matematico, persino quando afferisce al trascendente e questo può essere consolatorio.
In questo si innesta l’affascinante percorso della Ghematrià, che trova ad esempio splendida espressione nelle opere dell’artista veneziano Tobia Ravà, pittore, matematico e moderno alchimista.
L’arte offre possibilità di riflessione ma anche via di fuga da un mondo disumanizzante quando non disumanizzato volto a ridurre tutto a mera espressione tecnologico-algoritmica, dimenticando che piuttosto, per chi volesse, ci sono “Algoritmi Trascendentali” . Ancora mi viene in soccorso Ravà, questo infatti il titolo di una sua splendida mostra tenutasi a Venezia e a Cortina.
Ieri Silvano Danesi dalle pagine di questo stesso giornale nel Suo articolo “ La creatività dell’essere umano va oltre l’algoritmo artificiale” ci faceva avvisati che una “Matrix di algoritmi sono messi in campo da esseri umani la cui frontiera possibile è la sottomissione dell’essere umano all’intelligenza artificiale”. Ipotizzava il rischio di una tecnocrazia legata a potentati monopolistici.
Se a questa riflessione aggiungiamo la fotografia della realtà che ci circonda, appare allarmante il tentativo di ridurre la capacità pensante dell’essere umano. Sembra in atto una sorta di processo di destrutturazione dell’individuo complice un sistema consumistico pilotato che tende a trasformare l’uomo da pensatore a mero consumatore facilmente dominabile. Sicchè innanzi all’incedere veloce del progresso tecnologico, la tecnologia mantra della nostra esistenza, pur concordando sulla necessità per l’umanità di riversare quanto più sulle macchine processi produttivi pesanti o pericolosi resto perplessa sulle pieghe che sta prendendo la nostra società. Che il progresso tecnologico, espressione della genialità umana, sia utile è più che evidente ma sono evidenti anche tutti i potenziali rischi distorsivi persino quello di ritrovare in futuro un uomo “minorato”, svuotato, sostituibile dalle macchine “pensanti” e più capaci, quindi inutile, proprio come sostiene Yuval Noah Harari in XXI Lezioni per il XXI Secolo.
In questa fase siamo tutti cavie mentre la società si trasforma. Assaporiamo nuove dimensioni che si propongono estensive del nostro “sé”, ma cogliamo pure che gli algoritmi, di cui è ormai intrisa tutta la nostra esistenza, non sono algoritmi di giustizia, si configurano strumenti potenti in mano a pochi capaci di controllare molti. Sono strumenti di dominio e allora possono essere un problema per giustizia libertà e democrazia.
All’ Intelligenza Umana, peraltro non conosciamo a pieno come funziona, proponiamo la nostra Intelligenza Artificiale di umana creazione . Termine questo certo suggestivo per quell’ essere creativo che è l’uomo. Ma noi rischiamo , illudendoci, di pasticciare pretendendoci Creatori.
L’aggettivo “Artificiale” accanto al termine “Intelligenza” mi appare un ossimoro, una contradictio in terminis.
L’intelligenza umana è molto di più, accanto al razionale c’è l’irrazionale, la fantasia e l’assunzione del rischio. Le scelte più azzeccate nella storia dell’uomo e che hanno fatto la differenza, forse le macchine le avrebbero escluse così ad esempio per lo sbarco in Normandia come sostiene bene nel suo “Intelligenza artificiale tra mito e realtà” il Professor Giancarlo Elia Valori.
Le macchine necessitano di programmazione ma il campo degli studi è tutto teso verso il deep learning , sottocategoria del machine learning e sottintende qualcosa di molto più profondo: l’auto apprendimento.
Sembra certo che nel futuro ormai prossimo le macchine potranno prendere decisioni in autonomia, fino magari a decidere di sopprimere forme di vita.
L’uomo sa uccidere. L’uomo può insegnare alle macchine di uccidere. Le macchine un domani potrebbero deciderlo in totale autonomia. Ma la macchina non è un uomo: non conosce il dubbio, il senso di colpa, il pentimento e meno che meno il perdono…
Paola Bergamo