Ieri Silvano Danesi, da questo giornale, con titolo volutamente provocatorio, “Europa senza identità alla mercè dell’ idiozie” richiamando la citazione di Pietro Mattonai “ I popoli degli Stati che compongono l’Europa si sono mai sentiti Europei?” dice che “la risposta è nella premessa necessaria che l’Europa è una penisola del continente Eurasia e che si è identificata grazie a quella cultura che oggi chiamiamo occidentale e che, come insegnano i meridiani, distingue un occidente dal proprio oriente”. Anche per me è così. Danesi continua: “L’asse è quello dei meridiani, non dei paralleli, cosicché possiamo (dobbiamo) considerare patria degli Occidentali anche l’antico Egitto, che tanto ha contribuito a determinare le caratteristiche della cultura greco-romana. Occidentale è il cristianesimo, nonostante le origini medio orientali, in quanto si fonda su testi greci e sulla forma mentis greco romana. Radici d’Europa sono la cultura celtica, quanto mai viva, e quella norrena. Radice d’Europa è la cultura basca. Nelle radici d’Europa ci sono i portati delle invasioni kurganiche nei territori del neolitico della Dea Madre. Tra i fondamenti d’Europa, così come la conosciamo, ci sono il Rinascimento e l’Illuminismo. Potremmo aggiungere un lungo elenco, mettendo nello stesso la musica di valore universale, la pittura, la letteratura, la scultura, l’architettura, il teatro, l’arte in genere nelle sue varie espressioni. A questa Europa hanno contribuito e contribuiscono popoli diversi.”
La riflessione di Silvano Danesi mi presta il ‘la’ per parlare della mia recente iniziativa ad Aosta per il Convegno organizzato il primo giugno dal Centro Studi MB2 Monte Bianco Mario Bergamo, per dare un tetto all’ Europa dal titolo : “ La vetta del Monte Bianco come primo esempio di sovranità europea”. Non una provocazione, ma l’esigenza di compiuta riflessione su quanto ancora troppo poco noi si sia Europa. La Ue, che avrebbe una sua utilità, nulla ha a che fare con il sentire dei popoli e dei Padri Fondatori.
Per dire questo sono salita sul Monte Bianco, sperando di farmi udire dal popolo d’Europa, non solo dal Valdostano, perché siano le genti a prendere in mano il loro destino. La terra è di chi la abita!
Sono Veneta, Italiana ed Europea. Non fatico a identificarmi in questa triplice declinazione. Le Radici, la Terra Natia, la Nazione, la Patria, l’Europeismo non le vivo in contrapposizione. Se sono in giro per l’Italia, mi riconosco placidamente Veneta. Quanto viaggio in Europa, mi sento orgogliosamente italiana. Quando solco le vie del mondo mi sento saldamente Europea. E se devo dirla tutta, sentendomi parte dell’umanità, non mi sento mai una “estranea” come mai faccio sentir estraneo il mio prossimo. Questo mio modo di vivere aperto, che probabilmente nasce dal tipo di imprinting ricevuto, non mi impedisce di cogliere l’importanza e irrinunziabilità dell’identità e di capire la medesima altrui necessità in un’ottica di collaborazione e complementarietà, proprio come avviene in un matrimonio, tra un uomo e una donna, che di certo non perdono la loro identità e personalità convolando a nozze, vicendevolmente rafforzandosi. Penso al mio Veneto, così dolce, armonico e laborioso. Alla mia Italia fantasiosa, caotica e irresistibilmente affascinate e fascinosa nella quale non già le regioni soltanto, ma ogni comune esprime di fatto una propria identità, cultura e peculiarità, di cui i dialetti (vere lingue), la cucina, le diverse tradizioni, ne sono alta espressione tanto quanto l’arte e l’architettura e i resti archeologici ne costituiscono patrimonio per chi ci vive e in fondo per l’intera umanità. Mi sento Europea e quelle stesse differenze che per taluni sono causa di una impossibile unificazione e guardano agli idiomi come un limite invalicabile, per me che sono italiana le tante differenze sono la normalità.
Da Aosta, nel ricordare il pensiero europeista di Mario Bergamo, ho richiamato anche il pensiero di Federico Chabot, formidabile alpinista, partigiano e grande storico valdostano, che scrisse uno splendido libro dal titolo Storia dell’Idea d’ Europa, dove ha cercato di spiegare come e quando i nostri avi hanno preso coscienza di essere Europei. Storia di una consapevolezza che si è venuta svolgendo all’interno di una tradizione di pensiero che parte dai Greci antichi per arrivare alla fine dell’800 e quindi a noi. Un libro che nasce dalla fede in alcuni valori supremi, morali, spirituali, che sono alla base della nostra civiltà europea. Il testo nasce da una lunga riflessione anche sull’idea di Nazione. Non scomoderò il mio amato Mazzini e i suoi Step, la Nazione, Giovane Italia, l’Europa, Giovine Europa, sino all’idea di un’unica Patria, il Mondo. Così amato pure da Mario Bergamo, Mazziniano Repubblicano, che amava affrontare le cose facendo sintesi e calandole nella realtà secondo necessità, precorrendo con la mente, tempi troppo acerbi e tali appaiono ancor oggi, io rabbrividendo nel veder risorgere nostalgiche aizzate rivalse e pericolose contese. Mario Bergamo profetizzava gli Stati Uniti d’Europa, e nei “Sentieri Interrotti dell’Europa sulla via tracciata da Lui, io stessa intendevo rivivificare la necessità di un percorso ritenendolo essenziale mentre la politica mi sembra paralizzata e ingessata in esercizi di pura ragioneria economico-finanziaria.
Mantengo un legame personalmente profondo e intimo con la Francia. Del resto è terra che diede rifugio al Nonno costretto all’Esilio nel ‘26 quando gli squadristi fascisti avevano aperto una orribile caccia all’uomo nei suoi confronti. Sarebbe stato ucciso se Parigi non lo avesse accolto da profugo politico. Terra che permise a mio padre di crescere al sicuro, catapultato a solo quattro anni in un Paese straniero dove si formò, mai rinunciando al suo essere Italiano. Italiano restò pure mio Nonno, che mai accettò di farsi francese morendo però da apolide. Gli
squadristi fascisti, nella loro brutalità, gli avevano tolto tutto, affetti, lavoro, partito, cariche politiche, le medaglie guadagnate combattendo valorosamente a Monte Piana nella Prima, e pure la Cittadinanza Italiana. Non gli veniva perdonato di combattere per la libertà.
Credo nel valore dell’amicizia Italia- Francia, di cui il Trattato del Quirinale ne è, in parte, espressione. Certo è uno step che mi piace considerare tangibile anticipazione di quella che è una visione che tuttavia stenta a decollare. Vedremo poi nei fatti se possa ascriversi a un reale processo sulla via della costruzione degli Stati Uniti d’Europa o se, invece, sia un semplice accordo per far valere opportunità e cointeressenze espressione di un semplice asse di quelli che di volta in volta si creano tra Stati della Ue. Talora portano ad un nulla di fatto o a dei “patatrack” come quello franco-tedesco che, impedendo all’Italia di far da bilanciere, ci ha dritto catapultato nelle maglie fitte che sono sotto gli occhi di tutti esacerbate dal conflitto russo-ucraino.
Non mi lascio nemmeno suggestionare né demotivare nel mio spiccato Europeismo, quasi una Fede, per certi versi intrigante in una ipotesi di auto-analisi, visto il mio per lo più latente agnosticismo, per le esternazioni, anche pretestuose, di questo o quel politico Italiano o Francese, che afferiscono più a equilibri o per meglio dire squilibri interni a ciascuna Nazione che a una vera volontà di spaccatura tra le due Nazioni “Sorelle” .
Colgo in Italia e Francia, senza nulla voler togliere agli altri paesi, l’atrio sinistro e destro di quel cuore pulsante d’Europa. Nazioni più simili di quel che si tende a far apparire, Francia e Italia, possono e devono far la differenza, in un mondo che sembra impazzito e in una Europa che appare davvero inidonea e poca cosa rispetto ai mali che affliggono il nostro quotidiano.
Questo ho “gridato” ai piedi del Monte Bianco, in quella regione frontaliera, lì dove i due Paesi, invece riescono pure a bisticciare per un promontorio sulla cima, complice una cartografia non univoca e addirittura, per parte francese, andata perduta cui si aggiunge lo zelante zampino di qualche funzionario a rincarar la dose. In queste scaramucce, coraggiosamente si innesta il lavoro in chiave europeista del Centro Studi MB2, Monte Bianco – Mario Bergamo, per dare un Tetto all’Europa, che vede nella cultura un irrinunciabile collante per le genti e nel Monte Bianco, il simbolo per una ipotesi di giurisdizione Europea (sarebbe la prima), cui si aggiunge la visione di Mario Bergamo, con quell’ idea di una Repubblica Franco Italiana, polo di irresistibile attrazione sulla via degli Stati uniti d’Europa ( La France et l’Italie sous le Signe du Latran – 1931 S.E.P.I. Marsiglia ) .
Quando si parla di stati europei, si deve sempre andar cauti. Non vi è altra via che quella riformista che per sua essenza è lenta non fosse altro per il peso della storia di ognuno, a tratti pure una zavorra, da taluni cavalcati per riaprire antichi rancori in chiave anti-europea. Ognuno di noi ha una immensa scia di sangue alle spalle e per questo dovremmo agire con circospezione anche quando può sembrare conveniente assecondare qualche “suggeritore” e lasciarsi trascinare.
Se c’è idealismo non si può cedere ad alcun romanticismo tanto più che l’Europa di fatto non c’è. C’è la Ue, evoluzione della vecchia Ceca, una entità che invoca valori e diritti ma di fatto parla con i numeri, con l’abaco, con la lingua delle banche, della finanza e degli algoritmi non certo con gli idiomi, il sentire, il cuore e i bisogni delle genti.
In precedenti scritti il mio auspicio era l’idea di una Europa Mediterranea, che ho richiamato puntualmente dal Monte Bianco, anche lui, in fondo, emerso dal mare. Senza necessariamente abbandonare quel grande mercato economico-finanziario che è la Ue, a me
pare urgente si crei un nuovo Ente, questo sì di stampo federale tra alcune nazioni a cominciare da Italia e Francia abbracciando la Germania “mediterraneizzandola”, cioè sostanzialmente salvandola anche da sé stessa. Diceva Mario Bergamo che “ la concezione della forza è l’idea germanica e la concezione dell’idea è la forza latina”. Parole di una sintesi potente e illuminante. Da un triangolo immaginario, Italia, Francia Germania, diviene automatico pensare ad uno sviluppo in esagono con Grecia, Spagna e Portogallo e guardare al bacino del Mare Nostrum, in cui lì è il nostro destino, in quello scambio culturale , economico e pure energetico con i popoli che si affacciano sullo stesso specchio di mare. In questa costruzione è prioritario restituire il ruolo naturale ( e dignitoso) all’Italia che non può essere né una semplicemente “portaerei” né tanto meno un campo profughi. Al mio Paese va riconosciuto il ruolo di “Capitale” economica europea del Mediterraneo, intesa quindi come ponte economico, culturale ed energetico tra i popoli che si affacciano sullo stesso bacino in un’ottica di collaborazione cooperazione e sviluppo reciproco. Così si porrà pure rimedio anche al grande problema del fenomeno migratorio dall’Africa.
Tornando all’ incantevole Aosta, la “Roma” delle Alpi, è testimone del tempo come attestano i preziosi reperti archeologici visibili nel capoluogo e che fanno da irresistibile richiamo ai tanti turisti che vi si recano in vacanza per ammirarne le montagne, i paesaggi, assaporarne la cucina, i vini pregiati e la particolare e suggestiva storia.
Roma ha gettato per sempre un ponte di dialogo eterno un po’ ovunque, tra passato, presente e futuro. Quei segni di Roma e della latinità che sempre mi fanno sentire a casa, sono interessanti perché il popolo che vi ci vive, pur contemplandone quotidianamente la bellezza non si sente certo latino. Piuttosto guarda molto più lontano, agli antichi Celti, i Salassi del 3000 A.C. L’arrivo dei Romani è solo nel 25 A.C, data in cui venne fondata Augusta Praetoria Salassorum, l’odierna Aosta. I romani vi avevano sconfitto i Celti Salassi, e come facevano sempre durante le loro campagne, edificarono il loro accampamento (castra) imponendone il nome. Così è accaduto ad Aosta (Augusta) nella Valle della Dora Baltea. Mentre mi si narrava, da un intellettuale del posto, la vicenda storica della vallata, delle sue difficoltà nel vivere da sempre frontaliera e delle indubbie convenienze poi perdute e sempre rimpiante, quale “gabelliera”, la mia mente andava alla storia del mio Veneto, alla storia del popolo paleo-veneto, ai Romani che anche da me arrivarono. Io stessa vivo in un ex “castra” romano dove purtroppo non è restato quasi nulla. Ho pensato a Adria, oggi città piccola e lontana dal mare, ma un tempo importante porto di origine illirico, etrusco-greco che diede nome persino al mio mare, l’Adriatico. Pensai alle invasioni dei barbari, alle dominazioni che la mia Terra ha subìto nella sua storia. E infine mi sfiorò il pensiero della magnificenza di Venezia, piccola grande isola con la sua Repubblica Serenissima e il suo Leone dominate, svettante e in fondo coloniale. Dalla mia Venezia un lampo passare all’isolazionismo e al colonialismo Inglese e infine all’Imperialismo americano. I popoli è vero che tra loro sono spesso così diversi ma nel contempo si somigliano anche tutti. Il tratto comune, la corrispondenza è quel fil rouge da utilizzare per mediare tra le reciproche pretese verso una più armonica convivenza tra le genti.
Le vicissitudini storiche che si sono susseguite in ogni lembo di terra, proprio come nella Val d’Aosta, terra tra Italia, Francia e Svizzera, non ultimo il suo particolare bilinguismo, ci permettono di considerare ogni terra, regione e paese, un interessante “laboratorio” di pensiero al fine di
valicare il tortuoso e impegnativo intrico del “bosco”, direbbe Heiddeger, e riconoscere quel che di affine permetterebbe il “Sentiero” anche sulla via degli Stati Uniti d’Europa. Non saranno le scaramucce sul Monte Bianco a frenare il percorso quanto piuttosto la sordità e miopia dei governanti a dispetto del sentire corale dei loro popoli poco rappresentati e in fondo assolutamente ininfluenti nelle Istituzioni e nelle decisioni.
Ad Aosta la lingua che vi si parla è il “Patois”, gallo romanza, franco provenzale. Nota di colore è che nel 1532 fu proprio ad Aosta che venne redatto il primo atto notarile al mondo in francese. L’Italiano fu invece forzatamente importato nella regione nella prima metà del XX secolo durante il periodo fascista. Il Fascismo vi entrò a gamba tesa imponendone l’Italiano con il risultato che si crearono associazioni segrete tra cui la Ligue Valdotaine.
Senza voler ripercorrere tutta l’affascinante storia della Valle d’Aosta, non dissimilmente a quello che avviene in tutte le terre di confine, vi si respira un’aria particolare e affascinante tra ciò che fu il rimbalzo di quel popolo tra la dinastia sabauda, le continue invasioni subite per parte francese in tempo Rinascimentale, ripetute ai tempi della Rivoluzione Francese e nel Secondo Conflitto Mondiale. Fu grazie al Presidente americano Truman che si impose il dietro front a De Gaulle.
La Valle d’Aosta, con le sue montagne, i suoi campanili, i reperti romani, la croce di Calvino, eretta a ricordo della sua cacciata nel 1541 per mano dei Valdostani ferventi papisti, non meno con le sue leggende, tra diavoli, santi e streghe, è un sito magico. Nel mio camminare lungo il suo antico decumano, vi riscopro il luogo ideale per un interessante laboratorio europeo a cavallo tra Italia e Francia.